giovedì 26 dicembre 2013

Baccio Maria Bacci

Scrisse di lui Luigi Personé “A osservare e a studiare le opere ittoriche di Baccio Maria Bacci, in quest’anno 1952, mi fa lo strano effetto come se me ne andassi in compagnia di amici rosei e ben pasciuti per le corie di un sanatorio gremito da povere ombre estenuate dall’etisia.
Dovessi far celia, direi che lo “specifico” Bacci è il contravveleno di quanto, in campo morale ed in campo artistico, succede sotto i nostri occhi. Direi che, in questo nostro mondo scpnvolto dalla crisi e che non si appassiona che alla crisi, egli rappresenta una specie di anti crisi, come se fiamma d’esto incendio non l’assale.
L’impressione non è per niente illusoria: se ci si richiama ai documenti e ai fatti, trova una conferma seriamente fondata e legittima.
Cominciamo dalle date: che non hanno un semplice valore casuale ma sono rappresentative e simboliche. 1910; 1952. Se c’è un anno che può dirsi veramente placido, non turbato da affanni e da pene, questo è proprio il 1910, in cui non era scoppiata neanche la guerra di Libia e la gente oteva desinare in trattoria con qualche lira. Allora, nelle prime pagine dei giornali, si discuteva, come dei personaggi di eccezionale importanza, di un Fogazzaro, di un Pascoli, di un D’Annunzio: e la gente faceva la coda alle librerie per l’uscita di un nuovo romanzo; e la pubblicazione di Leila del Fogazzaro suscitava delle incredibili emozioni.
Per l’appunto nel 1910 Baccio Maria Bacci fa, a Firenze, una mostra di quadri suoi, che ottiene molto successo.

Per risparmio di tempo e di spazio non sto a contrapporre ai segni caratteristici del 1910, ai quali ho accenato, i segni caratteristici del 1952, che ben conosciamo perché vi siamo sventuratamente immersi fino alla gola. Ma anche questo particolare voglio mettere in evidenza: di un giovanetto – che è poi il Bacci - il quale a quindici anni, ossia nel 1903, scappa di casa, e se ne va a Monaco di baviera e a Norimberga, a vivere alla meglio, vendendo acquerelli, colo perchè a sua mamma non era entusiasta che egli facesse il pittore, e tentava di contrariarlo in questa vocazione. Vocazione! Non dico che oggi non esista ancora, ma certo è stata in gran parte soppiantata dal suo surrogato più pericoloso, che è l'imrpovvisazione: per cui il mondo non pone mente al fondamento che natura pone; e l'indole, l'educazione e le attitudini giocano ben poco per ciò che l'individuo si ostina a fare e fa a dispetto dei santi e soprattutto della propria inclinazione.
In Baccio Maria Bacci la pittura discende veramente per li rami: chè almeno quattro generazioni di pittori lo hanno incalzato senza posa, sì che egli, invece di vantare un albero genealogico con dei nomi sormontati da mitrie o da elmi, lo ha con dei pennelli o con delle tavolozze, che stanno a indicare i titoli della sua nobiltà e la qualità del suo sangue. Se alla nobiltà non si viene meno, al sangue non si mente: e l'ossessione pittorica il nostro Bacci se la sentiva dentro, che non gli dava tregua  e non gli lasciava scelta. E poi trascurando il sangue e la famiglia, badiamo all'ambiente, all'aria fisica, che respirava: che era aria di Bellosguardo - la più fine, la più aromatica, la più deliziosa che aliti in Firenze, l'aria che alimentò il Foscolo de Le Grazie. Anche un turista che vada per poco sul colle di Bellosguardo s'avvede di quanto c'è di straordinario lassù e ne ridiscende con un'emozione e con un'esperienza che non si cancelleranno mai dalla sua memoria.

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