lunedì 6 gennaio 2014

Filli Levasti (Fillide Giorgi Levasti)

Nasce a Firenze nel 1883 muore il 24 settemnre 1966. Si diploma all'Accademia di Belle Arti di Firenze e poi continua a studiare sia dal vero che nelle Gallerie e nei musei. Espone in diverse mostre collettive e personali in Italia e all'estero. Le sue opere si trovano in varie gallerie e collezioni private (fra cui peraltro quella dell'esimio professor Cipriano Robusti Anguissola).

Diceva di lei Giovanni Previtali nel 1959 "Sappiamo quanto lento sia stato, da parte della cultura artistica italiana, l'assorbimento delle conquiste artistiche dell'impressionismo francese e come, ancora una quarantina di anni fa ed anche meno, fosse accanitamente discussa la validità di quella grande tradizione naturalistica (si ricordino i giudizi negativi di Oppo, Ojetti, Thovez). Assorbimento lento da parte dei critici, ma ancor più lento, se possibile, da parte dei pittori. Da chi quella tradizione rifiutava in nome di una non meglio identificata tradizione nazionale (Oppo, Sartori, Ferrazzi) a chi, per lo meno più aggiornato, l'assorbiva per vie traverse; via Gauguin e mescolandovi parecchio Liberty, come Modigliani e, per un certo periodo, Gino Rossi, oppure orecchiando le misinterpretazioni cubiste della pittura di Cézanne, come i futuristi.
Pochi ebbero lo sguardo tanto acuto da individuare, nel caos dei tanti movimenti d'avanguardia e delle tante interpretazioni della storia "ad usum delphini", quale fosse il filone buono, quale la sola tradizione di pittura viva e valida. E' appena il caso di ricordare, tra questi pochi, i nomi di Tosi, Carrà, Morandi e, più tardi, Chiesa e Menzio, Semeghini, De Pisis, Scipione e Mafai.
Filli Levasti, per forza di cultura (quanti seicentismi olandesi meditati in pieno periodo di mania per i primitivi toscani!) e intelligenza di artista, ha saputo essere di quei pochi; ha saputo riattaccarsi direttamente alla grande tradizione naturalistica quale era giunta a maturarsi in Cézanne (vedi le Mele del 1917 o la Veduta di Rorà del 1920); è grazie all'aver profondamente capito il valore  di questa tradizione che la Levasti ha saputo sempre evitare quelle secche del primitivismo (da Rousseau al Carrà giottesco) che pure ha, alle volte costeggiato; Ella, senza mai cedere alla tentazione di voler essere "à la page", ha concentrato la sua meditazione pittorica nell'approfondimento della sua sensibilità per i valori di atmosfera e di colore; quella sensibilità che, violenta dapprima ed amante degli accostamenti di tinte cariche ed urlanti, si è raffinata poi fino a raggiungere la luce trasparente ed i toni delicati che rendono preziose di colore le vecchie case comntadine e gli angoli di città silenziose dei quadri dal '30 al '40 in cui, a me pare, la Levasti ha raggiunto la sua più piena maturità di artista.
In sede di valutazione storica si può ammettere senza falsi pudori che nella stessa cultutra, ché scuola non è, rientrino a buon diritto altri pittori, come Carrà, Soffici, Rosai. Infatti, proprio nel ritrovare nella produzione di un artista gli apporti coerentemente trascelti di una tradizione vitale e nel riconoscere in essa comunanza d'intenti con quella dei buoni pittori contemporanei, sta la prova della sua validità in sede storica oltre che estetica. Non vediamo forse, che coloro stessi che si sforzano, con assurdo sforzo, di rifiutare tutte le tradizioni, finiscono poi, volenti o nolenti, per riattaccarsi alla meno elevata delle tradizioni, alla più elementare, quella delle arti decorative ed industriali? Non vediamo anche come quei pittori che rifiutano disperatamente ogni comunità di cultura con i contemporanei siano poi costretti, per farsi riconoscere dall'amatore, ad adottare un marchio di fabbrica, una cifra più rigida di quella bizantina? E poi, anche in quel contesto di scuola toscana del novecento, quanti quadri sono più riusciti e più sinceri del Giardino e Case (1934), del Cortile (1936), o di quel Giardino sotto la pioggia (1930), che sarebbe certo piaciuto a Matisse? Con in più una tenacia nel proseguire la via intrapresa, una tranquilla coscienza ed una orgogliosa fermezza senza tentennamenti, un esempio di coerenza morale insomma, forse poco allettante da seguire per chi punta direttamente ai riconoscimenti ufficiali, ma invece da meditarsi da chi sappia vedere i genuini valori di umanità e di poesia che ne sono scaturiti"

Il Previtali f grande amico della famiglia della Levasti e creò su di lei un carteggio del quale negli anni '80 entrò in possesso la Biblioteca Marucelliana di Firenze. Tale epistorio era veramente prezioso: erano presenti centinaia di appunti e lettere dei maggiori scrittori, musicisti e personaggi del mondo politico e culturale del tempo con cui la Levasti fu in rapporto di amicizia e conoscenza. Emersero nomi di primissimo piano: Vittorio Gui, Luigi Dallapiccola, Giovanni Costetti, Primo Conti, Giorgio Settala, Piero Calamandrei, Corrado Tuminati, Bruno Cicognani, Giovanni Papini, Marino Moretti, Eugenio Garin, Giuseppe Antonio Borgese, Piero Jahier, Raffaello Ramat. E ancora Prezzolini, Prampolini, Devoto, Fernando Previtali, Armando Nocentini, Luisa Becherucci, Emilio Cecchi, Barfucci.
Un carteggio che, risultò subito, poteva consentire una riscoperta della personalità della feconda artista così poco indagata nel passato. Partendo da tali documenti era possibile proporre una rivisitazione di questa pittrice che appartenne a tante associazioni culturali e artistiche (fu la prima donna nominata accademica delle arti e del disegno) e fu sempre molto apprezzata dagli intellettuali anche se non ottenne quel successo di pubblico che i suoi coloratissimi dipinti, un po' naif e improntati ad un realismo intriso di poesia e di quotidianità fiorentina, invece meritavano. Era una grande artista ma donna e, si sa, nel passato le donne-pittrici dovevano fare i conti con il pregiudizio.
A Firenze ed in Italia Filli vendeva le sue opere nella cerchia degli amici; un mercato più vasto lo ebbe soltanto in Germania tra il 1923 ed il 1940. Ma produsse molto.
La Marucelliana cercò di fare un censimento delle sue opere anche con un appello lanciato attraverso il quotidiano La Nazione con cui si riucsì a rintracciare circa 300 dipinti tutti schedati, insieme ai documenti di carteggio che ad essi si riferivano, nel catalogo finanziato dall'allora Cassa di Risparmio di Firenze che possiede alcuni dipinti della Levasti.
Un quadro di Filli Levasti, appartenente alla Galleria di Arte Moderna di Roma (quella fiorentina ne contava sei) era a Palazzo Madama nell'appartamento privato del presidente del Senato 8questo negli anni '80 ancor prima di Tangentopoli... chissà che i nostri beneamati politici non se lo siano venduto giusto per arrotondare quei miserabili stipendi che si prendono... poveri.. poveri... poveri politici italiani).